Siamo al sessantesimo anno, ma non è una festa, c’è ben poco di divertente.
Sessanta anni addietro, a Longarone si consumava la tragedia della “Diga del Vajont”: quasi 2000 morti e un paese spazzato via.
BREVE ACCENNO
Prima di tutto bisogna sapere che la diga del Vajont, parte “male”, molto male. Il monte che franerà si chiama Toc: proprio a chiarire che
el casca a tochi (viene giù a pezzi)
Il progetto della diga è antecedente alla seconda guerra mondiale, passata la quale si torna a voler questa opera. La diga del Vajont sarebbe stata una diga “polmone” ovvero avrebbe dovuto fornire l’acqua anche agli altri bacini alpini, una sorta di “banca”.
L’iniziativa di creare la diga è di una società, la SADE di Venezia, nella quale operano Semenza (il progettista) e Dal Piaz (il geologo).
La scelta del luogo non è casuale perchè è al centro della rete di centrali elettriche da servire e perchè il torrente di immissione, il Vajont, ha una buona e costante portata d’acqua. Tutte carte in regola, tranne una: quel monte che cade a pezzi.
Nonostante i dubbi la diga viene realizzata. Poi, durante il riempimento accadono rumori e scosse telluriche. La paura comincia a prendere forma.
ALTRA STORIA
Sul Vajont, la tragedia, hanno scritto in molti, hanno parlato in molti e c’è anche stato un film (bello). Ora qui voglio soffermarmi su altri aspetti che pochi espongono e molti tacciono.
FAKE NEWS
La storia del Vajont si intreccia con quella di una generosa giornalista de “l’Unità”: Tina Merlin.
La brava giornalista scrive e parla delle paure, dei timori che quella diga comincia a sollevare sin dalle “prime colate di cemento”. Ascolta le persone e scrive quel che sente e quel che vede: la montagna comincia ad avvisare che quel lago artificiale non è gradito. Si creano profonde crepe nel terreno e gli alberi crollano. Poi nel 1959 vi fu il disastro di Pontesei: altra diga, altra frana, stessa zona, Stessa paura.
Essendo testarda la brava Merlin insiste ed i suoi articoli vengono pubblicati sul suo giornale (l’Unità). Dice che vi è il rischio di crollo della diga o di altri disastri. Tanto basta che un giorno Tina Merlin viene informata di essere incriminata per “diffusione di notizie fase”.
Tina viene assolta: i fatti che lei ha raccontato sono veri, e la Corte non nasconde qualche preoccupazione. Se fosse oggi la Merlin sarebbe “rea” di fake-news: altri tempi, altre locuzioni, stessa sostanza.
SADE
É bene fugare gli equivoci: SADE è l’acronimo di Società Adriatica Di Elettricità, Masoch non c’entra. Era di proprietà di notabili tra i quali:
- Giuseppe Volpi, conte di Misurata
- Vittorio Cini, conte di Monselice
- Achille Gaggia
La SADE non è una azienda “normale”: ha contatti e forza persuasiva non comuni, d’altronde è molto agganciata alla finanza ex-fascista, gode (nei risultati) dei favori delle elités del Paese.
BASTONARE IL BASTONE
C’è un bastone a Belluno, è un bastone del Genio Civile, si chiama Desidera e fa l’ingegnere Capo per quell’ufficio. Desidera desidererebbe avere dalla SADE le perizie geologiche prima di autorizzare la costruzione della diga. Lui è Desidera di nome e di fatto, tanto che ad un certo punto la SADE, scocciata desidera il trasferimento di Desidera e questa volta il desiderio viene esaudito.
Ovviamente l’ing Desidera non viene trasferito perchè inviso alla SADE, no questo no, alla SADE lui non faceva un baffo. Ecco in sintesi la storiella.
Nell’ufficio presieduto dal Desidera, un impiegato pare abbia concusso delle aziende appaltatrici (del Genio Civile di Belluno). Parte una denuncia anonima e chi ne fa le spese è il Desidera, il quale è “reo” di non aver denunciato il sottoposto, sostanzialmente coprendolo. I fatti risalgono al 1957. L’ing. Desidera verrà trasferito a Venezia, per “punizione”.
Il fatto narrato, e documentato, è evidentemente “lacunoso”. Se davvero Desidera avesse omesso di denunciare un reato avrebbe dovuto esso stesso incorrere nell’omissione d’atti d’ufficio. Invece l’impiegato concussore viene rinviato a giudizio, ma muore prima del processo. In pratica la posizione del Desidera rimane “congelata” finchè egli richiede con insistenza le perizie geologiche alla SADE. Ah, dimenticavo, l’impiegato “disonesto” muore giovane, all’improvviso. Come noto chi muore giovane è caro agli dei.
Al posto di Desidera arriva Almo Violin, di Padova, che come dichiarerà, non aveva idea di cosa fosse una diga. Da notare che a Belluno le dighe sono ovunque, e per un ingegnere del Genio Civile è cosa comune, come il pane. Possiamo quindi immaginare che Violin non avrebbe troppo rotto le scatole ai “manovratori”. Poi però finì imputato per il disastro del Vajont, ma in Cassazione finì assolto. Ovvio.
CHI VA E CHI VIENE
Ad un certo punto è chiaro che la diga “sarà” un problema, però per vendere “bene” la diga all’Enel ecco che la SADE deve costruire e mettere in funziona la diga. Vengono ignorati gli allarmi sulla frana e Biadene fa di tutto per tenere nascosto l’imminente rischio: gli utili dell’azienda non possono attendere. Qualche anno prima del crollo del Vajont, Biadene diventa responsabile della SADE al posto dell’ing Semenza (il progettista) il quale muore prematuramente.
Nel 14 marzo del 1963 la diga viene “acquistata” dall’ENEL.
LA BOMBA D’ACQUA
Il monte TOC, stufo di aspettare, lascia cadere nel lago sottostante circa 250 milioni di metri cubi di terra e roccia. L’onda principale si spinge verso la riva opposta, sbatte sulla roccia e torna indietro, ma nel tornare verso la riva del monte Toc incontra l’onda di recupero e le due onde si fondono e tracimano verso Longarone. Ancora qualche secondo e una massa d’acqua di oltre 25 milioni di metri cubi si scagliano sul paese radendolo al suolo.
Per avere un’idea della massa di montagna che finisce nel lago artificiale, basta immaginare un cubo di 620 metri di lato, ed allo stesso modo, la massa d’acqua che schiaccia Longarone è un “cubo” di 292 metri che scende sul paese alla velocità di 90km/h, ovvero a 25 m/s.
Qualcuno calcolò che la potenza sviluppata fosse simile a quella di una bomba atomica, sta di fatto che tutto finì sbriciolato, le stesse vittime “sparirono” perchè i loro corpi vennero schiacciati riducendoli in piccoli brandelli o poltiglia. Altri sventurati finirono sugli alberi privi di vestiti segno che la pressione fu elevata, proprio come con una bomba.
Le vittime furono 1917 di cui 400 “dispersi”. Era il 9 ottobre del 1963.
CACCIATORE DI SCIACALLI
A Milano gli hanno dedicato anche i giardini pubblici, così i bambini possono giocare sotto la sua possente e protettiva ombra. Forse.
Di fatto, appena dopo il disastro, con ancora i morti da cercare tra le macerie o nei fossi, il bravo Indro Montanelli redarguisce i comunisti di essere dei sciacalli della tragedia. Se uno avesse voluto fare una misera figura questo mi sembra sia stato un ottimo modo. In pratica l’arguto Montanelli ha dato degli “sciacalli” senza aver letto e vissuto i fatti della diga. Se si fosse degnato di approfondire avrebbe “scoperto” che una comunista (nessuno è perfetto) aveva compreso molto bene cosa stesse succedendo.
Ovviamente la personalità di Mpontanelli si porta dietro anche altri: anche Giorgio Bocca abbocca alla storia “nessuno poteva prevederlo“. E bravo il Giorgio che si documenta a dovere e non è (era) fazioso.
Col tempo Montanelli sarà più attento.
VIGLIACCATA PRESIDENZIALE
Al momento del disastro è Presidente del Consiglio un certo Giovanni Leone, un democristiano ed avvocato napoletano.
Come un buon padre di famiglia, ad acque ritirate, giunge a Longarone per dare conforto ai sopravvissuti. Tutti gli chiedono di fare luce e giustizia su questa immane tragedia. Egli è un Presidente tutto d’un pezzo e appena torna a Roma, cade il governo e si mette a difendere la SADE. Come mascalzonata non era male, ma tutti tacerono per convenienza. Poi, più tardi il Paese non seppe come sdebitarsi di cotanto ardore patrio che elesse a Presidente delle Repubblica questo orribile figuro, segno che la Giustizia terrena ha perso gli occhiali.
IL PROCESSO
Il disastro succede in provincia di Belluno, ma pareva brutto rispettare la regola della giurisdizione, e pareva brutto fare il processo a Venezia, perchè a Venezia c’è la SADE e quindi come d’incanto il processo viene spostato all’Aquila.
In fin dei conti l’Aquila in montagna , proprio come Longarone.
CERCASI GEOLOGI
Servono i periti per il processo, senza di quelli l’istruttoria non può partire e lo sa bene il Giudice Istruttore, tale Fabbri di Macerata. Servono geologi e ingegneri, ma non si trovano, sono tutti impegnati o a rischio di conflitto di interesse.
La SADE è dovunque e qualcuno riceve forti “raccomandazioni” ad evitare la perizia. “Capito mi hai?”
Tutti rinunciano, tranne uno, uno che insegna da precario (vecchia e sana abitudine!) nella facoltà di Geologia di Padova, quella davanti all’Arena romana, lui si chiama Floriano Calvino (fratello di Italo).
Poi alla fine arrivano, altri “pezzi da 90”, eccoli:
- Henri Gridel, direttore del Laboratorio idraulico delle Électricité de France (EDF)
- Marcel Roubault, rettore della Ecole National De Geologie Appliquée di Nancy
- Alfred Stucky rettore del Politecnico di Losanna
E cosa dicono: semplice, la diga non si poteva fare lì. Punto.
COLPEVOLI!
La diga non è crollata, ma è crollato il monte, quindi, a rigore, è colpa del Paese, che è il proprietario della montagna. In ogni modo dopo anni ed appelli arriva qualche condanna. Quasi 2000 morti si diceva. Biadene viene condannato a 2 anni. Anzi, sarebbero stati 5 anni però, considerando le sue competenze tecniche gli furono condonati 3 e quindi gli anni divennero 2. Circa 1 anno per ogni migliaio di morti. Non fa una piega.
Le “sue prigioni “, quelle di Biadene, sono pagine meravigliose sulla Giustizia. Poi col tempo sarebbe arrivato Enzo Tortora, altre pagine , altro voltastomaco. Oggi abbiamo Massaro, Zancheddu e tanti altri…
Torniamo a Biadene, egli entra in carcere il 1° maggio del ’71 ed esce lo stesso giorno del ’73. Siccome tutti i condannati sono uguali, egli ha una cella tutta per sè ed un detenuto che svolge il compito di attendente. Il che è giusto infatti Biadene è colpevole di aver procurato la morte ( e disastro) a sole 2000 persone, mica come Stalin che ne ha fatti 20 milioni di morti.
Ogni giorno la SADE gli invia un pacco dono con viveri ed altro che egli divide con gli altri detenuti. Vista la competenza egli si mette a disposizione ad insegnare matematica ai carcerati. Meglio così perchè se avesse insegnato come e dove costruire le dighe sarebbe stata una disgrazia continua. Insomma, quasi quasi la società italiana si sente quasi in colpa per averlo perseguito.
RASA AL SUOLO
L’onda del Vajont spazza Longarone. La cittadina è sparita, macerie e fango. Oltre ai lutti, bisogna pensare alla ricostruzione: l’intera economia della valle è disastrata.
La ricostruzione è necessaria, per non costringere ancora all’emigrazione. Prima di tutto va chiarito che l’ENEL, ora proprietaria della diga, cerca di evitare le parti civili al processo penale. Il rischio di pagare somme ingentissime è molto alto. Ecco che quindi l’ENEL applica l’antica regola: “pochi, maledetti e subito“, e i famigliari delle vittime accettano.
Esiste comunque una ricostruzione, organizzata da una legge apposita. In pratica questa legge mette a disposizione soldi (pubblici) per finanziare aziende, peccato che le aziende non siano della valle, ma sfruttando i buchi della legge riescono a finanziare i soliti furbi.
RESPONSABILITÀ DIRETTA
Non ho mai capito come mai l’ENEL non abbia chiesto la revocatoria della “vendita” della diga alla SADE. In pratica la SADE ha venduto sapendo di “vizi”, ma tacendoli all’acquirente. Insomma un “visto e piaciuto”.
In questo modo i proprietari di SADE hanno evitato fastidiose noie, e a rigor di logica la SADE avrebbe dovuto rispondere fino all’ultima lira attingendo nel caso dai patrimoni dei proprietari.
Non è una forzatura, ma la responsabilità non fu solo dei tecnici che vollero proseguire con un capolavoro infame (la diga), ma anche gli azionisti della SADE (i SADIci) erano corresponsabili, perchè si sono fidati di persone inaffidabili. Insomma la proprietà ha il dovere di sapere chi siano i suoi collaboratori.
La SADE prende i soldi (e molti) e il pubblico paga il conto.
RESPONSABILITÀ SOCIALE
Sono anche responsabili i cittadini del luogo perchè dopo aver visto cos’era successo (di scandali) continuavano a votare DC, ma anche PSIUP e anche PSI e ancora PCI. Sì, il PCI, infatti il PCI non fu mai in aperto contrasto con la proprietà della SADE, tanto che la Tina Merlin veniva “garbatamente frenata” nei suoi articoli di allarme.
In quella valle, ma anche in tutto il triveneto, la DC sarà la “balena bianca” almeno fino a “Mani pulite” (e “IBAN contento”).
I proprietari, i nobili e notabili, non saranno mai nominati o “tirati in ballo”, per loro ci sarà il rispetto e silenzio, come per i morti dilaniati, solo che i morti erano “andati” e i nostri nobili conducevano la vita di sempre: ricevimenti, viaggi esotici, intrallazzi, bonifici su estero e via immaginando.
Anzi, per rendere l’esistenza meno amara, il bravo Vittorio Cini, di mestiere “conte”, si dedica alla collezione di opere d’arte antiche. La sua è una casa-museo (agli umili-defunti-dilaniati invece toccherà il “mausoleo”). Noblesse oblige.
REPUBBLICA IPOCRITA
La Repubblica nata dopo il Fascismo, si era dimostrata perfettamente in linea col precedente ventennio, basti ricordare che i maggiori azionisti della SADE , un tempo orgogliosamente fascisti, rimasero belli e “paciarotti“. La Repubblica Italiana dovrebbe essere fondata sul lavoro: il che è vero, infatti gli inutili-umili stanno sotto, come le fondamenta, per dare valore ai nobili o ai nobilitati. Insomma, sfregio e pregio, a ognuno il suo lignaggio.
E gli altri a cantare “bella ciao”, complimenti.
it.wikipedia.org/wiki/Floriano_Calvino
it.wikipedia.org/wiki/Almo_Violin
gognablog.sherpa-gate.com/fabbri-il-giudice-del-vajont
polaris.irpi.cnr.it/event/il-disastro-del-vajont
www.leoneg.it/vajont/arg-11.html
artslife.com/2016/04/18/capolavori-ritrovati-nella-casa-museo-di-vittorio-cini-a-venezia